Instruzioni per la lettura


Gentile viandante, quella che stai per leggere non è una storia normale, ma una vera e propria avventura dove deciderai in prima persona le sorti del protagonista.

Se hai già familiarità con i librigame non hai bisogno di sapere altro; se invece non hai la più pallida idea di cosa siano, lascia che ti spieghi. Un librogame è una vera e propria lettura interattiva, dove alla fine di ogni capitolo (o porzione di testo) il lettore, o la sorte, decide quale percorso prenderà la narrazione.

Ad ogni capitolo una domanda ti condurrà verso una direzione diversa: tutto quello che dovrai fare è cliccare il pulsante al fianco dell'opzione preferita, e automaticamente la storia proseguirà nella direzione scelta e condurrà il protagonista verso un diverso destino, sempre più vicino a uno dei 6 differenti finali di questo racconto.

Ma anche la sorte avrà voce in capitolo. Alcune volte infatti ti verrà chiesto di eseguire delle prove, cioè dei tiri di dado. Per poter giocare questo racconto servirebbero quindi anche 2 classici dadi a sei facce, ma non preoccuparti, anche in questo caso tu dovrai solo cliccare un pulsante e il sistema simulerà il tiro. Quello che devi fare, invece, è dare un valore alle caratteristiche di Ananche, il protagonista del racconto.

Le prove infatti si basano sulla sua FORZA, la sua DESTREZZA e la sua VOLONTÀ. Si tratta di valori numerici che verranno sommati al tiro di dadi e che devi decidere tu ora, compilando i campi qui sotto. Rispetta solo due regole: assegna un valore da 1 a 6 e fai che la somma dei tre valori sia pari a 12.

Fatto questo non ti resta che iniziare l'avventura e tentare la fuga!

Le caratteristiche di Ananche

FORZA:
DESTREZZA:
VOLONTÀ:

La somma dei valori delle caratteristiche deve essere uguale a 12!

Il valore delle caratteristiche deve essere almeno 1!

Il valore delle caratteristiche può essere al massimo 6!

La grande fuga


Pioveva. Sentiva il rumore di grosse gocce esplodere sulla terra. Ma la pioggia era fuori, e anche la terra. Il luogo dove si trovava adesso era asciutto, o almeno non era zuppo, e c'erano mattoni sotto il suo corpo, neri di muffa ma più puliti di una pozza di fango. Ce ne doveva essere parecchio, là fuori, di fango.

Ananche provò a mettersi in piedi ma la testa era tanto pesante da trascinarlo nuovamente giù. Allora si sedette, più sicuro. La testa non era solo pensante, ma pulsava come se uno spirito maligno vi fosse incastrato dentro e stesse cercando di uscire. Fece comunque uno sforzo per mettere a fuoco le quattro pareti che lo circondavano: a prima vista si sarebbe detta la cella di una prigione.

E anche un secondo sguardo lo confermava: pochi metri quadri di superficie, un pertugio largo un pugno appena sotto il soffitto come unica finestra, una pesante porta di metallo a chiudere l'ingresso. Oltre che a un maleodorante compagno di sventura che russava riverso contro l'altra parete.

Per Babuz, cosa ci faceva in una prigione?

L'ultima immagine di cui aveva memoria era la carrozza che era venuto a prenderlo per portarlo al banchetto. Sì, il giorno prima, o forse erano due giorni prima, o tre, chi poteva saperlo, quel buffo tipo era sceso da una carrozza da vero signore e aveva invitato un po' di gente del ghetto a casa sua, per una festa. Lo ricordava bene quell'uomo, era un piccoletto spelacchiato come un gatto randagio, strabico in un occhio e con un sorriso sghembo che metteva la pelle d'oca, ma era sceso da quella carrozza d'oro e di merletti e molti gli avevano dato subito retta. Anche lui l'aveva fatto, non appena aveva sentito parlare di cibo e vino gratis.

Per averli sarebbe bastato salire il giorno dopo su quella carrozza e farsi accompagnare alla reggia di quel nobile signore, Malocchio si chiamava, o qualcosa del genere. Era un tipo strano, con un nome strano, e un'offerta ancora più strana, ma erano tre giorni che non faceva un pasto decente, come la maggior parte della gente da quelle parti, e la tentazione fu più forte d'ogni dubbio.

Ma a giudicare dai fatti era stato un errore.

Eppure, qualcosa doveva aver mangiato, si sentiva sazio, anzi, gonfio fino alla nausea. Aveva anche vaghi ricordi di tavole imbandite e boccali di birra. Sì, ricordava la birra, era scadente, un sapore orribile anche per i palati meno delicati. Ma l'aveva bevuta, e aveva mangiato a piene mani. Non ricordava cosa ma aveva sicuramente mangiato.

Poi il buio.

Cos'era successo? Perché lo avevano arrestato? Aveva forse esagerato alla festa?

Si mise in piedi solo con l'aiuto del muro, e con passi stentati si avvicinò al suo compagno di sventura. Era un volto familiare e dal puzzo doveva essere stato anche lui alla festa: forse ricordava qualcosa e valeva la pena svegliarlo.

Ma una voce da oltre la porta venne a interrompere i suoi propositi.



Cosa farà Ananche?

● Fingerà di dormire

● Sveglierà comunque il compagno

● Aggredirà chiunque dovesse aprire la porta

La grande fuga


Scendere fin lì era stata una follia.

Riprendendo il controllo sul suo destino, Ananche percorse a ritroso le buie scale e riemerse nella sala superiore.

Prima di tentare la sorte con una delle tante porte, esplorò con cautela la sala, seguendo dei vaghi bagliori fino ad un ampio e tetro salone, che si apriva oltre un’arcata sostenuta da due cariatidi spettrali.

Al centro della stanza, illuminato a tratti dalla luce dei candelabri circostanti, un ometto storto era indaffarato in qualche misteriosa faccenda.

Lo aveva già visto, anche se era di spalle non poteva ingannarsi: era lo strano individuo che li aveva invitati alla festa, il padrone di casa.

Vinse l’istinto di fuggire, per cogliere quel suo attimo di distrazione e vendicarsi della prigionia, di cui era certo fosse l’artefice, ma soprattutto aprirsi una via di fuga.

«Vieni, avvicinati.»

La voce dell’uomo lo paralizzò, come se gli avesse intimato l’esatto contrario di quanto pronunciato. Aveva il tono fastidioso di una mola sulla lama.

«Come ti chiami?»

Anche questa, in realtà, non era una domanda. «Ananche.»

«Che nome interessante… forza, avvicinati ti ho detto.» Si voltò mostrando un sorriso di denti sghembi che metteva i brividi.

Ananche obbedì.

L’uomo stava preparando una strana mistura dentro un pentolino. O forse era un pitale. Sul tavolo aveva altre numerose caraffe, bricchi e bicchieri dalle forme stravaganti.

«Sei uno degli ospiti della mia festa, vero?»

«Sì… ero alla… festa» balbettò, per niente intenzionato a parlare.

«Ti stai divertendo?»

«Molt… issimo.»

L’uomo sogghignò, senza alzare lo sguardo dall’intruglio che stava preparando.

«Ottimo. Ottimo. Posso offrirti qualcosa da bere?»

Ananche fissò il liquido viscoso che ribolliva nel pitale. «Quello?» domandò trattenendo un fremito.

«Oh, no, quello non è da bere. Ti offro una birra» e afferrò sicuro una beuta contenente un liquido biondo.

Ananche guardò quel braccio teso come avrebbe scrutato un animale feroce. Era sicurissimo che in quella prigione c’era finito per colpa della birra. O del cibo. Insomma, di qualcosa che gli avevano dato alla festa. E poi quella non sembrava birra, anche se ne aveva il colore.

«No, grazie, non ho sete.»

«Ti prego, insisto.» Non era stata una richiesta.

Ananche sentì i muscoli del suo braccio muoversi contro la sua volontà, piegarsi nel gesto di afferrare il contenitore che l’uomo gli porgeva.

«Prendilo.»

Le sue dita si chiusero sul vetro, la mano che tremava nello sforzo di resistere.

«Ora bevilo. Dai, non farti pregare.»

Adesso, tutto in quell’uomo era fastidioso: la voce, il sorriso, lo sguardo. Era come circondato da un alone di perfidia, e Ananche poteva sentirne la presenza.

Nonostante ciò non riusciva a fuggire, e neppure ad impedire al suo braccio di portargli quel bicchiere alla bocca.

Ma doveva fermarlo.

«Bevilo.»

Ma la voce era forte, e la sua mano non si fermava.

Bevilo…

Non era più una voce, era un richiamo dall’oltretomba. E doveva fermarlo…


Fai una prova di

Il risultato della tua prova è

La grande fuga


A ben vedere però quella non sembrava una scelta difficile: giù le tenebre si facevano ancora più scure mentre sopra una vaga parvenza di luce dava forma a uno stretto passaggio.

Senza perdere altro tempo, salì.

Erano poche decide di gradini, tra due pareti che se fosse stato un po’ più robusto avrebbe toccato con entrambe le spalle, e che non gli avrebbero lasciato via di fuga se fosse stato necessario.

Ma non lo fu, bastò qualche rapida falcata per arrivare in un ampio salone, illuminato da larghe e basse finestre che ne percorrevano il perimetro appena sotto il soffitto.

Sembrava un’altra cella, molto più grande e ben illuminata. E con un considerevole numero di porte e altre vie d’accesso.

Ora le scelte si moltiplicavano, e il tempo era poco: i suoi carcerieri sarebbero potuti arrivare da un momento all’altro.

Fece ancora qualche passo, tentennando come se il pavimento fosse stato una lastra di ghiaccio. Tutte le porte erano chiuse, tutti i passaggi bui, ad esclusione di una sala attigua, dove si vedevano le ombre ondeggianti di fiamme.



È il momento di scegliere ancora…

● Prendiamo una porta a caso

● Continuiamo ad esplorare la sala

La grande fuga


Intervenne quell’innato istinto di sopravvivenza che ogni abitante del ghetto sviluppa fin dai primi anni di vita, e senza neanche pensarci si ributtò a terra per fingersi addormentato.

Immediatamente dopo la porta si aprì.

«Solo due? Pensavo ce ne fossero di più.»

«Oggi il Maestro ci ha dato dentro parecchio.»

Erano le voci di due uomini, grossolane ed esauste.

«Prendiamo questo» disse il primo, senza il minimo entusiasmo.

Sentì giunture scricchiolare, un vago lamento, poi l’inconfondibile rumore di un corpo inerme trascinato a suon di sbuffi e spintoni.

Forse sarebbe stato un buon momento per tentare una fuga…



Lo facciamo?

● Sì, fallo!

● Meglio non rischiare

La grande fuga


Il sole stava ormai sparendo dietro l’orizzonte. Aveva caricato sul carretto le poche cose che gli erano rimaste e lentamente si era avviato a casa. Era rimasto l’ultimo e non vedeva l’ora di tornare.

Era stata una giornata di mercato proficua, il guadagno avrebbe aiutato la sua famiglia per molte settimane a venire. Era stata un’ottima idea, sarebbe sicuramente tornato il mese successivo.

«Scusi, ehi scusi.»

Si voltò in cerca della voce, più d’istinto che convinto chiamassero lui. Ma un uomo su di una carrozza stava facendo cenni proprio nella sua direzione.

«Buonasera messere, posso aiutarla?»

Era uno giovane dall’aspetto anonimo, avvolto in una cupa tunica, ma la sua carrozza era nobile, e gli fu scontato prenderlo per un cliente ritardatario.

«Sì, certo, si avvicini.»

Fece inversione e portò il carretto vicino alla carrozza. «Non è rimasto molto, ma se c’è qualcosa di suo interesse…»

«Sì, sali per favore.»

La voce dell’uomo era calma, rassicurante, e non gli lasciò la minima esitazione: salì sulla carrozza lasciando carro e merce sulla strada.

Dentro, oltre all’uomo c’erano due ragazze, abbigliate come contadine appena uscite dai campi.

L’uomo diede una voce al cocchiere e la carrozza partì.

Il viaggio durò un’ora, forse più, durante la quale nessuno proferì parola. Solo quando arrivarono a destinazione, una grande villa, l’uomo disse: «Potete scendere.»

Gli altri tre passeggeri scesero senza obiettare, e andarono incontro a un secondo personaggio che li attendeva, un ometto sbilenco dall’aria perfida.

Questi li salutò con poche parole e poi andò verso il primo uomo: «Ottimo lavoro Ananche, le fanciulle sono robuste e di bell’aspetto, come piace a me.»

«Lieto che siano di suo gradimento, Maestro.»

«Perché hai preso anche quell’altro tipo?»

Ananche abbassò il capo, in segno di rispettosa temerarietà: «Perdoni l’ardire, Maestro, mi sono permesso di procurarmi del materiale per fare esercizio, per quei nuovi sortilegi che ci ha insegnato.»

Malachia l’Ombroso rise soddisfatto: «Sei già il migliore dei miei allievi, vuoi forse superarmi?»

«Non sia mai Maestro, ma lo dice sempre anche lei che servono dedizione e costanza…»

«Basta, non devi giustificarti, vai pure nel mio laboratorio ed esercitati quanto credi.»

Ananche diede un ordine alla sua cavia e l’uomo lo seguì svelto sul retro del grande palazzo.

Lo stregone osservò il suo discepolo sparire nell’ombra. Non si era sbagliato quel giorno in cui l’aveva risparmiato, quando il giovane aveva resistito al suo comando: Ananche aveva un grande potenziale.

Nascosta nell’ombra un’altra figura, accarezzando la sua falce, osservava Ananche avviarsi ai suoi macabri esercizi. Lei, più che potenziale, vedeva solo l’inesorabile moltiplicarsi dei suoi straordinari.

FINE



Ti è piaciuto?
Allora offrimi un caffè

La grande fuga


Rotolò una, dieci, venti volte in mezzo agli schifosi liquami, poi si fermò in un attimo di buio.

Quando riaprì gli occhi alle spalle aveva il passaggio del tunnel. Ce l’aveva fatta, aveva saltato oltre il precipizio. Tornò indietro per constatarne la pericolosità: non era molto alto, in effetti, e c’era bacino d’acqua che avrebbe potuto attutire la caduta, ma era comunque felice d’essersi risparmiato l’esperienza.

Ora doveva solo capire se c’era un modo per scende senza tuffarsi, o se quel tunnel avesse un’uscita più agevole. S’incamminò verso il buio, ma subito il terrore bloccò ogni suo gesto: una figura incappucciata bloccava il passaggio, un’ombra nell’ombra di cui si distinguevano solo gli eterei riflessi degli occhi.

Fece un passo indietro. Lei ne fece uno avanti.

Era anche armata di una lunga falce.

Ananche non ebbe più dubbi e fece per gettarsi di sotto.

«Lascia perdere, ormai è tardi.»

Fu il timbro della voce a fermarlo. Pareva venire da un altro mondo.

«Troppo tardi?» chiese voltandosi e raggelando al suono della propria voce. Era altrettanto spettrale.

«Per salvarti, intendo.»

«Vuoi uccidermi?»

«Non serve, sei già morto» e si scostò a sufficienza per mostrargli la scena alle sue spalle: uno sciame di roditori stava banchettando sopra una carcassa scomposta che indossava i suoi vestiti.

«Ma io… Pensavo di… di essere fuggito.»

«Dai ratti nell’altro tunnel, sì. Ma atterrando qui hai sbattuto la testa e hai perso conoscenza, diventando una preda facile per i ratti di questo lato del tunnel.»

Ananche si lasciò cadere a terra, sul bordo del precipizio.

«Non è giusto, dopo tutta questa fatica… ero anche riuscito in questo salto che sembrava impossibile.»

«La vita è spesso ingiusta.»

«Anche la morte, mi pare!»

«A dire il vero sono ciò che di più equo avete. Vengo indistintamente per tutti.»

Ananche non riusciva a vincere lo sconforto: «Quindi finisce così? Non c’è una seconda possibilità?»

«Solitamente no.»

«Ma è ingiusto! Ce l’avevo quasi fatta…»

Morte sentì uno strano moto di simpatia per quel giovane sfortunato. Non che fosse la prima volta, ma in questo caso aveva una inspiegabile inclinazione ad essere possibilista, quasi che forze superiore avessero già deciso.

«Vuoi giocartela ai dadi?»

«Si può?» Ananche era più sospettoso che speranzoso.

«Beh, no, ma in via eccezionale» ed estrasse dalle pieghe della tunica due dadi d’osso d’un bianco accecante.

Li agitò per alcuni secondi prima di lanciarli. Rimbalzarono nel vuoto, come se un invisibile tavolo fosse stato piazzato tra loro due. I punti neri sulle facce, dai contorni irregolari di bruciature, sembravano muoversi allo stesso ritmo dei dadi, scivolando gli uni sugli altri.

Quando si fermarono, due coppie di sei facevano bella mostra sulle facce superiori.

«Dai, questa è una presa in giro, come lo batto un dodici.»

«Volevi una seconda possibilità e te la sto dando. Prova, se davvero lo vuoi vedrai che ci riuscirai.»


Fai una prova di

Il risultato della tua prova è

La grande fuga


Non fermò però la sua mano, che scosse comunque con violenza lo sconosciuto: «Ehi, presto, stanno arrivando.»

Quello sbatte gli occhi con fastidio, nonostante la luce fosse poco più forte di due candele: «Chi… Cosa?»

«I bastardi che ci hanno rinchiuso» ribatté, sforzandosi di restare in piedi: l'alito di quel tizio era come un pugno sul setto nasale.

«Dove siamo? Chi sei?» continuò l'altro, nel tentativo di ritrovare una lucidità persa probabilmente da tempo immemore.

«Io sono Ananche e siamo rinchiusi in cella. Ma ora non importa, stanno arrivando» bisbigliò mentre gli individui oltre la porta trafficavano con la serratura. Poi si gettò a terra per fingersi di nuovo dormiente.

Il suo nuovo amico, però, fu di altro avviso e con un estremo gesto di coraggio si scagliò contro i due carcerieri.

O almeno così gli parve dai frammenti di scena che vide attraverso gli occhi socchiusi. E forse fu quella condizione di scarsa visibilità a rimandargli l'impressione di un attacco virile e violento, perché nella realtà il suo compagno di cella si lanciò di puro istinto verso l'uscita, incespicò nei propri piedi e cadde tra le braccia dei due uomini, che lo tramortirono con sonori pugni sulla schiena. Pochi secondi dopo lo stavano trascinando di peso fuori, richiudendosi la cella alle spalle.

Ananche si rimise in piedi, attaccando l'orecchio alla porta nel tentativo di cogliere qualche altro rumore oltre ai passi. Non riuscì a sentire neppure quelli. Ora, oltre che rinchiuso, era pure solo. Il che forse non era poi così un male: se non c'era nessun altro di cui preoccuparsi, sarebbe stato più facile fuggire.

Aveva solo bisogno di un piano.



Cosa farà?

● Forzerà la porta

● Chiederà aiuto

La grande fuga


Ananche sentì un click secco, come se qualcosa si fosse spezzato, e immediatamente tirò con tutte le sue forze.

La porta si aprì.

Rimase per alcuni secondi sorpreso della sua maestria, ma non si crogiolò oltre nell’autocompiacimento: ora doveva solo fuggire.

Il corridoio in cui si trovava non gli dava molte alternative: a destra terminava contro un muro, a sinistra proseguiva per una decina di metri e poi sfumava nell'ombra. Vedeva anche altre sette porte, ma erano sicuramente celle come la sua e scoprirne il contenuto non era affare che la sua coscienza si sentisse obbligata ad affrontare. Si lanciò verso l'oscurità salvo bloccarsi immediatamente: una stretta scala scavata nella pietra chiudeva l'altro capo del corridoio offrendogli la possibilità sia di salire, sia di scendere.

Doveva fare una scelta, e scegliere sotto pressione non gli aveva mai portato fortuna.



Dove si va?

● Su

● Giù

La grande fuga


«No, grazie, non mi va.»

Il volto dell’uomo sulla carrozza si irrigidì. «Non ti va? Ti offro cibo in quantità tali che non vedrai mai in tutta la vita e non ti va?»

«No, non mi va» e ora che vedeva i tratti maligni di quel ruggito ne era più convinto.

«Vieni, ti dico» sbraitò sporgendosi dal finestrino.

Ananche in tutta risposta afferrò un sasso e glielo scagliò contro.

«Come osi…»

Un altro sasso zitti lo sconosciuto e la carrozza sparì dalla sua vista.

Ananche si sentì sollevato, e inspiegabilmente ottimista verso il futuro. Si incamminò verso il centro prendendo il suo cappello per le elemosine portafortuna.

Già dietro l’angolo il suo talismano fece effetto: un tizio, incappucciato in un pesante pastrano nero, vi gettò dentro una moneta e due dadi d’osso dall’aria preziosa.

«Buona fortuna.»

Ananche ringraziò con un inchino e proseguì oltre.

FINE



Ti è piaciuto?
Allora offrimi un caffè

La grande fuga


Un tempo se la cavava bene con le serrature.

Per un paio d’anni aveva fatto l’apprendista per una ditta di traslochi. Non che ci sia da apprendere chissà che per far bene un trasloco, se lo fai con il consenso del padrone di casa. Ma a loro capitava di rado di averlo, il consenso. Così aveva imparato ad aprire le porte anche senza le chiavi.

Era stato divertente, e redditizio, finché era durato. Poi aveva aperto la porta sbagliata ed era finito a nascondersi nelle fogne, fino a sparire dal mondo. Ma quel talento per le serrature gli era rimasto.

Ciò che ora gli mancava erano gli attrezzi giusti.

Ma non era il momento di farsi scoraggiare. Quello strano senso di intorpidimento che gli era rimasto addosso dopo il risveglio, si stava dissolvendo, e più riusciva a guardare lucidamente quella situazione, più gli risultava chiaro che ci fosse un’unica possibilità di uscirne vivo: fuggire.

Cominciò a frugarsi frenetico nelle tasche, e ne estrasse due monete di rame, uno spago, un nocciolo e una forchetta. Era dai tempi dei traslochi che non vedeva una forchetta. Questa sembrava d’argento, sarebbe stato un peccato rovinarla.

Rovistò anche nello strato di sporco che ricopriva il pavimento, tastò con le dita alla ricerca di un qualunque piccolo oggetto che potesse aiutarlo e infine trovò il suo tesoro: un chiodo.

Cacciò un occhio dentro il buco della serratura: dall’altro lato veniva un flebile bagliore giallastro, del tutto insufficiente per capire il tipo di meccanismo che bloccava la porta. Avrebbe dovuto lavorare alla cieca.

Piegò il chiodo ad angolo retto e a un capo legò il pezzo di spago, facendo un paio di giri intorno alla capocchia. Infilò una moneta nel buco, spingendola con la forchetta a tappare il lato opposto, quindi inserì con delicatezza il chiodo, frugando in cerca di un appiglio. Quando la punta fu incastrata per bene, si attorcigliò al dito quel che restava dello spago e tirò.


Fai una prova di

Il risultato della tua prova è

La grande fuga


Una chiave girò nella serratura e non stette neppure a pensarci: s’appiattì contro la parete in attesa che qualcuno entrasse.

«Pensavo fossero du…»

Senza dargli il tempo di finire la frase, e ancor meno badando alla sua stazza, né alla particolarità dell’abbigliamento che vestiva l’uomo, lo sorprese con un calcio al ginocchio mandandolo a terra con un colpo.

Purtroppo, però, gli uomini erano due.


Fai una prova di

Il risultato della tua prova è

La grande fuga


Fece un balzo verso quello più vicino, senza badare alla sua stazza né alla particolarità del suo abbigliamento: lo sorprese con un calcio al ginocchio che lo piegò in due.

Ora però il secondo uomo gli sbarrava la strada.


Fai una prova di

Il risultato della tua prova è

La grande fuga


Riaprì gli occhi lentamente, scrollandosi di dosso quello strano sogno.

Alle spalle aveva il passaggio del tunnel: ce l’aveva fatta, aveva saltato oltre il precipizio. Tornò indietro per vedere cosa c’era sotto e gli si ripresentò identico il panorama che aveva visto nel suo sogno.

«Non è stato un sogno.»

«Ma dai, questo è una presa in giro!»

«Vuoi riprovare?» disse Morte porgendogli nuovamente i due dadi.

Ananche le lanciò uno sguardo di sfida.


Fai una prova di

Il risultato della tua prova è

La grande fuga


Sbatté gli occhi scrollandosi di dosso quello strano sogno. Poi si chiese se davvero fosse un sogno, perché non stava dormendo.

Era in un corridoio, davanti alla cella di una prigione, due uomini erano a terra, rantolanti per il dolore di colpi brutali. Colpi che aveva sferzato lui. Lo ricordava. O forse lo sentiva nelle nocche, nelle gambe.

La sensazione di aver già vissuto tutto quello scivolò oltre la memoria. Ananche contemplò il risultato di tanta violenza ancora un istante, poi fuggì.

Il corridoio in cui si trovava non gli dava molta scelta: a destra terminava contro un muro, a sinistra proseguiva per una decina di metri e poi sfumava nell'ombra. Vedeva anche altre sette porte, ma erano sicuramente celle come la sua e scoprirne il contenuto non era affare che la sua coscienza si sentisse obbligata ad affrontare. Si lanciò verso l'oscurità salvo bloccarsi immediatamente: una stretta scala scavata nella pietra chiudeva l'altro capo del corridoio offrendogli la possibilità sia di salire, sia di scendere.

Doveva fare una scelta, e scegliere sotto pressione non gli aveva mai portato fortuna.



Dove si va?

● Su

● Giù

La grande fuga


Riaprì gli occhi scrollandosi di dosso quello strano sogno. Poi si chiese se davvero fosse un sogno, perché non stava dormendo. Era in piedi, davanti a un ampio salone che si apriva oltre un portale di cariatidi spettrali.

Al centro della stanza, illuminato a tratti dalla luce dei candelabri circostanti, un ometto storto era indaffarato in qualche misteriosa faccenda.

Aveva già visto, quell’uomo, o forse addirittura aveva già vissuto quella scena. Di certo non poteva ingannarsi: era lo strano individuo che li aveva invitati alla festa, il padrone di casa.

Vinse l’istinto di fuggire, per cogliere quel suo attimo di distrazione e vendicarsi della prigionia, di cui era certo fosse l’artefice, ma soprattutto aprirsi una via di fuga.

«Vieni, avvicinati.»

La voce dell’uomo lo paralizzò, come se gli avesse intimato l’esatto contrario di quanto pronunciato. Aveva il tono fastidioso di una mola sulla lama.

«Come ti chiami?»

Anche questa, in realtà, non era una domanda. «Ananche.»

«Che nome interessante… forza, avvicinati ti ho detto.» Si voltò mostrando un sorriso di denti sghembi che metteva i brividi.

Ananche obbedì.

L’uomo stava preparando una strana mistura dentro un pentolino. O forse era un pitale. Sul tavolo aveva altre numerose caraffe, bricchi e bicchieri dalle forme stravaganti.

«Sei uno degli ospiti della mia festa, vero?»

«Sì… ero alla… festa» balbettò, per niente intenzionato a parlare.

«Ti stai divertendo?»

«Molt… issimo.»

L’uomo sogghignò, senza alzare lo sguardo dall’intruglio che stava preparando.

«Ottimo. Ottimo. Posso offrirti qualcosa da bere?»

Ananche fissò il liquido viscoso che ribolliva nel pitale. «Quello?» domandò trattenendo un fremito.

«Oh, no, quello non è da bere. Ti offro una birra» e afferrò sicuro una beuta contenente un liquido biondo.

Ananche guardò quel braccio teso come avrebbe scrutato un animale feroce. Era sicurissimo che in quella prigione c’era finito per colpa della birra. O del cibo. Insomma, di qualcosa che gli avevano dato alla festa. E poi quella non sembrava birra, anche se ne aveva il colore.

«No, grazie, non ho sete.»

«Ti prego, insisto.» Non era stata una richiesta.

Ananche sentì i muscoli del suo braccio muoversi contro la sua volontà, piegarsi nel gesto di afferrare il contenitore che l’uomo gli porgeva.

«Prendilo.»

Le sue dita si chiusero sul vetro, la mano che tremava nello sforzo di resistere.

«Ora bevilo. Dai, non farti pregare.»

Adesso, tutto in quell’uomo era fastidioso: la voce, il sorriso, lo sguardo. Era come circondato da un alone di perfidia, e Ananche poteva sentirne la presenza.

Nonostante ciò non riusciva a fuggire, e neppure ad impedire al suo braccio di portargli quel bicchiere alla bocca.

Ma doveva fermarlo.

«Bevilo.»

Ma la voce era forte, e la sua mano non si fermava.

Bevilo…

Non era più una voce, era un richiamo dall’oltretomba. E doveva fermarlo…


Fai una prova di

Il risultato della tua prova è

La grande fuga


Riaprì gli occhi scrollandosi di dosso quello strano sogno. Poi si chiese se davvero fosse un sogno, perché non stava dormendo.

Era a carponi in un prato ancora intriso di pioggia. Non ricordava come ci fosse arrivato ma sapeva di non essere mai stato così felice. Il disagio di quell’incontro onirico era già sparito oltre la memoria.

Ora c’era solo la felicità per la libertà finalmente ritrovata. Ma durò un attimo, giusto il tempo di rendersi conto dell’alto muro che circondava quel cortile interno al palazzo. E delle decine di persone lì immobili, in piedi, la testa rivolta malamente al cielo, i piedi affondati nel fango.

Il primo istinto fu fuggire, anche perché aveva una strana sensazione di déjà-vu, poi un breve pensiero riuscì a prendere forma nella sua mente: forse erano prigionieri anche loro, forse insieme potevano trovare una via per la libertà.

Si accostò a quegli insoliti personaggi, di cui non vedeva i volti perché tutti gli davano le spalle, ma nei quali intuiva la scomoda postura, l’innegabile sciatteria, la stravaganza di quello sguardo immobile rivolto al timido sole.

Se si fosse concesso il tempo di un pensiero in più, avrebbe probabilmente anche notato le mosche che numerose li tormentavano, gli abiti zuppi d’acqua, il colorito e l’odore malsano dei loro corpi.

Ma neanche con tutto il tempo del mondo avrebbe immaginato ciò che stava per vedere.

Quando la sua mano toccò il braccio dell’uomo più vicino, tutte quelle teste si abbassarono all’unisono e lentamente si voltarono a fissarlo: una schiera di volti marci, bocche putrescenti, orbite macilente.

Erano morti. Erano tutti morti ma erano lì come fossero vivi.

Ananche sentì un terrore tangibile avvolgerlo come un mantello e bloccargli ogni facoltà. E quando riuscì a scansarlo i morti già lo circondavano.


Fai una prova di

Il risultato della tua prova è

La grande fuga


Pioveva. Sentiva il rumore di grosse gocce esplodere sulla terra. Ma la pioggia era fuori, e anche la terra. Il luogo dove si trovava adesso era asciutto, o almeno non era zuppo, e c'erano mattoni sotto il suo corpo, neri di muffa ma più puliti di una pozza di fango. Ce ne doveva essere parecchio, là fuori, di fango.

Ananche provò a mettersi in piedi ma la testa era tanto pesante da trascinarlo nuovamente giù. Quello strano sogno gli vorticava ancora nella mente, e impresso davanti agli occhi aveva quel volto scheletrico, terribile eppure rassicurante.

Poi tutto svanì oltre la memoria. Gli restava solo la sensazione di essere stato prigioniero. Fece uno sforzo per mettersi seduto e focalizzare ciò che lo circondava: a prima vista si sarebbe detta la cella di una prigione.

E anche un secondo sguardo lo confermava: pochi metri quadri di superficie, un pertugio largo un pugno appena sotto il soffitto come unica finestra, una pesante porta di metallo a chiudere l'ingresso.

Per Babuz, era davvero in una prigione!

L'ultima immagine di cui aveva memoria era la carrozza che era venuto a prenderlo per portarlo al banchetto. Poi era solo buio. Cos'era successo? Perché lo avevano arrestato? Aveva forse esagerato alla festa?

Si mise in piedi solo con l'aiuto del muro, e con passi stentati si avvicinò al tizio che divideva con lui la cella. Era un volto familiare e dal puzzo doveva essere stato anche lui alla festa: forse ricordava qualcosa e valeva la pena svegliarlo.

Ma una voce da oltre la porta venne a interrompere i suoi propositi.



Cosa farà Ananche?

● Fingerà di dormire

● Sveglierà comunque il compagno

● Aggredirà chiunque dovesse aprire la porta

La grande fuga


Si strofinò gli occhi con violenza. Era stato il sogno più bizzarro che avesse fatto in tutta la sua vita. Il volto scheletrico della morte lo aveva ancora davanti, come fosse stata lì.

Un brivido lo scosse e si strinse nella coperta avvicinandosi alle braci del fuoco che aveva acceso la notte prima.

Doveva aver dormito parecchio, il vicolo era già deserto e il sole era alto, anche se velato da pallide nubi.

In lontananza però il cielo era grigio, e probabilmente sarebbe stata una giornata bagnata.

Odiava la pioggia, come tutti i vagabondi, anche se nel suo riparo di latta riusciva a starsene quasi all’asciutto. Ma con la pioggia era difficile trovare qualcosa da mangiare, e la gente era meno propensa ad allungare qualche spicciolo d’elemosina, o anche un tozzo di pane.

Gli pareva di ricordare, però, che quel giorno non doveva preoccuparsi del cibo, perché qualcosa o qualcuno gliene avrebbe portato. Faticava a mettere in fila gli eventi, forse aveva bevuto un po’ troppo la sera prima, e poi c’era quel sogno, così reale, che lo confondeva.

Ad aiutarlo venne una carrozza sfarzosa, che si fermò proprio alla fine del vicolo.

L’aveva già vista, ne era certo, così come aveva già visto il tizio spelacchiato con l’aria da cencio strizzato che si affacciò dal finestrino.

«Allora, amico, sei pronto per fare festa?» gli chiese, con un fare gioviale cui chiaramente era poco avvezzo.

Qualcosa stava emergendo dalla memoria, già qualche giorno prima quel tipo era passato per annunciare un grande banchetto nella sua villa. E già allora l’aveva reputata una cosa strana: perché un nobile dovrebbe invitare a casa sua dei derelitti?

«E gli altri?»

«Sono già partiti con un'altra carrozza, sto raccogliendo i ritardatari.»

Il suo stomaco si stava ribaltando dalla fame, neanche fosse a digiuno da settimane, ma qualcosa gli diceva di non fidarsi. Forse era stato quel sogno a condizionarlo, ma ormai non lo ricordava praticamente più.

«Dai vieni, o gli altri si spazzoleranno tutto senza lasciarti neanche le briciole.»

Aveva una fame dannata, ed era vero, quei balordi gli avrebbero lasciato solo i piatti vuoti, e forse neanche quelli. Ma quel tizio gli metteva i brividi.

«Vieni…»


Fai una prova di

Il risultato della tua prova è

La grande fuga


Difficile dire quanto tempo fosse passato. L'unica certezza fu il dolore del risveglio, violento come un colpo allo stomaco. Forse era stato davvero un pugno allo stomaco, ne sentiva la nausea, e la vista era annebbiata da un velo che pareva avvolgere la realtà.

Davanti a lui un uomo arruffato stava armeggiando con una pentola, o forse un pitale.

Lo riconobbe immediatamente, anche se di spalle: era sempre l’individuo che li aveva invitati alla festa, il padrone di casa.

Si avvicinò di soppiatto, meditando di cogliere quel suo attimo di distrazione per vendicarsi della prigionia e di quel malessere che lo stringeva nelle viscere.

Ma era molta anche la curiosità nei confronti di quello strano rito che stava eseguendo. Così, invece di colpire la nuca scoperta, allungò il collo per sbirciare il contenuto della pentola.

«Lascia stare Ananche, e seguimi.»

La voce gli era giunta affilata come una lama arrugginita, provocandogli un tremito che lo paralizzò. Mai il suo nome gli era parso tanto estraneo.

«Fidati, è meglio così.»

Lasciò perdere il suo aguzzino e voltò lo sguardo alla sua destra. Non perché lo volesse davvero, ma non poteva farne a meno. E quando vide quell'alta figura incappucciata attenderlo nell'ombra ne capì anche il motivo.

«Forza, seguimi, ti condurrò per l'ultimo tratto.»

«Quindi sono…»

«Sì.»

«Ma così presto?»

«Forse avresti dovuto prestare più attenzione alle tue scelte.»

«Ma non è colpa mia.»

«Lo so, in effetti è colpa sua» e il dito ossuto di Morte si alzò a indicare un punto imprecisato alle sue spalle, quasi stesse accusando un osservatore esterno. Poi comprese che si riferiva al padrone di casa.

«E come è successo?»

«Fidati, non vuoi saperlo.»

«Invece sì» protestò guardandosi attorno in cerca di risposte, o ancor meglio d’una via di fuga. Trovò solo le prime, penzolanti lì a fianco. Non che fossero risposte molto esaurienti, non entravano ad esempio nel dettaglio della ragione per cui era stato appeso a testa in giù ad un gancio come un maiale, ma lo squarcio che gli segnava il ventre, dal quale uscivano ancora sangue e interiora, era in effetti una spiegazione sufficiente del perché si trovasse al cospetto di Morte.

«Avevi ragione, non volevo saperlo.»

«Ho ragione molto spesso.»

«Quindi ora che succede?»

«Mi segui verso quella luce.»

«Tutto qui? Non ho una seconda possibilità? Che ne so, ce la giochiamo ai dadi?»

«Vorresti giocare ai dadi con… me?»

Ananche cercò d'interpretare l'espressione sul volto di Morte. Non ci riuscì. «Era un'idea come un'altra…»

«Chissà, forse la prossima volta…» rispose Morte con la sua migliore interpretazione di un sorriso. «Ora seguimi.»

«E lui?» fece un ultimo tentativo rivolto al suo assassino.

«Seguimi e sta zitto» sbottò Morte prima che entrambi svanissero nella luce.

FINE



Ti è piaciuto?
Allora offrimi un caffè

La grande fuga


Le dita quasi gli sanguinavano per lo sforzo: no, non c’era alcun passaggio segreto nelle pareti, nessun mattone mobile, nulla di nulla. Aveva infilato le unghie in ogni pertugio ma non era servito. E la porta era solida ancor più della pietra.

Non c’era alcuna via di scampo.

L’unico collegamento con il mondo restava quel pertugio lassù, sotto il soffitto, lo spazio giusto per farci passare un braccio. Ad arrivarci.

Ma se non poteva arrivarci con le braccia, almeno la voce avrebbe potuto correre là fuori, e magari attirare l’attenzione di un fortuito salvatore.

Che altra soluzione gli restava?

«Aiuto» tentò dapprima timidamente, quasi un sussurro, nella speranza che un alito di vendo lo cogliesse e lo trasportasse a destinazione.

«Aiuto» di nuovo piano, con discrezione.

Ma non venne risposta. Oltre quel pertugio di cielo pareva ci fosse il deserto.

«Sono qui sotto, aiuto!» Insistette con più decisione. «Aiuto!»

Nulla. Solo silenzio.

«Aiuto, aiutooo!» arrivò a gridare, fissando disperato il mondo là fuori.

E una risposta venne, ma non da dove sperava.

Lo scatto della serratura alle sue spalle fu un brusco richiamo alla realtà: quando si voltò i due carcerieri sorridevano beffardi. «Ti serviva una mano?» ridacchiò uno, quello più tozzo.

«Dai, davvero pensavi che la fuori c’era qualcuno pronto ad aiutarti?»

Ananche ebbe un moto di stizza, verso se stesso ancor prima che nei confronti dei suoi aguzzini, e lo trasformò in un disperato gesto di rabbia: con un balzo fu su quello più vicino e senza badare alla sua stazza lo sorprese con un calcio al ginocchio che lo piegò in due.

Ora però il secondo uomo gli sbarrava la strada.


Fai una prova di

Il risultato della tua prova è

La grande fuga


Ananche afferrò i dadi con decisione. Li sentiva strani tra le mani, con i contorni poco definiti, quasi gelatinosi.

Non si lasciò distrarre da quelle sensazioni ambigue, si concentrò solo su quello che voleva, essere libero, e tirò.

I dadi cozzarono malamente tra loro un paio di volte e si fermarono subito. Entrambe le facce mostravano un solo pallino nero.

«Peccato.»

«Aspetta, io…»

«Forza, andiamo» disse Morte avvicinandosi a una potentissima porta di luce. «Ti accompagno per l’ultimo tratto. Poi, finalmente, sarai libero.»

Ananche fissò il volto scheletrico di Morte: era benevolo, seppur inquietante. «Capisco» disse avviandosi verso la luce.

FINE



Ti è piaciuto?
Allora offrimi un caffè

La grande fuga


O forse no.

Bastò quell'attimo d'indecisione, pochi secondi e stavano già trascinando fuori il suo compagno di sventura, richiudendosi la cella alle spalle.

Si rimise in piedi, attaccando l'orecchio alla porta nel tentativo di cogliere qualche altro rumore oltre ai passi. Non riuscì a sentire neppure quelli. Ora, oltre che rinchiuso, era pure solo. Il che forse non era poi così un male: se non c'era nessun altro di cui preoccuparsi, sarebbe stato più facile fuggire.

Aveva solo bisogno di un piano.



Cosa si fa?

● Forziamo la porta

● Chiediamo aiuto

La grande fuga


Come ipnotizzato da quei vaghi bagliori, li seguì fino ad arrivare in vista di un ampio e tetro salone, che si apriva oltre un’arcata sostenuta da due cariatidi spettrali.

Al centro della stanza, illuminato a tratti dalla luce dei candelabri circostanti, un ometto storto era indaffarato in qualche misteriosa faccenda.

Lo aveva già visto, anche se era di spalle non poteva ingannarsi: era lo strano individuo che li aveva invitati alla festa, il padrone di casa.

Vinse l’istinto di fuggire, per cogliere quel suo attimo di distrazione e vendicarsi della prigionia, di cui era certo fosse l’artefice, ma soprattutto aprirsi una via di fuga.

«Vieni, avvicinati.»

La voce dell’uomo lo paralizzò, come se gli avesse intimato l’esatto contrario di quanto pronunciato. Aveva il tono fastidioso di una mola sulla lama.

«Come ti chiami?»

Anche questa, in realtà, non era una domanda. «Ananche.»

«Che nome interessante… forza, avvicinati ti ho detto.» Si voltò mostrando un sorriso di denti sghembi che metteva i brividi.

Ananche obbedì.

L’uomo stava preparando una strana mistura dentro un pentolino. O forse era un pitale. Sul tavolo aveva altre numerose caraffe, bricchi e bicchieri dalle forme stravaganti.

«Sei uno degli ospiti della mia festa, vero?»

«Sì… ero alla… festa» balbettò, per niente intenzionato a parlare.

«Ti stai divertendo?»

«Molt… issimo.»

L’uomo sogghignò, senza alzare lo sguardo dall’intruglio che stava preparando.

«Ottimo. Ottimo. Posso offrirti qualcosa da bere?»

Ananche fissò il liquido viscoso che ribolliva nel pitale. «Quello?» domandò trattenendo un fremito.

«Oh, no, quello non è da bere. Ti offro una birra» e afferrò sicuro una beuta contenente un liquido biondo.

Ananche guardò quel braccio teso come avrebbe scrutato un animale feroce. Era sicurissimo che in quella prigione c’era finito per colpa della birra. O del cibo. Insomma, di qualcosa che gli avevano dato alla festa. E poi quella non sembrava birra, anche se ne aveva il colore.

«No, grazie, non ho sete.»

«Ti prego, insisto.» Non era stata una richiesta.

Ananche sentì i muscoli del suo braccio muoversi contro la sua volontà, piegarsi nel gesto di afferrare il contenitore che l’uomo gli porgeva.

«Prendilo.»

Le sue dita si chiusero sul vetro, la mano che tremava nello sforzo di resistere.

«Ora bevilo. Dai, non farti pregare.»

Adesso, tutto in quell’uomo era fastidioso: la voce, il sorriso, lo sguardo. Era come circondato da un alone di perfidia, e Ananche poteva sentirne la presenza.

Nonostante ciò non riusciva a fuggire, e neppure ad impedire al suo braccio di portargli quel bicchiere alla bocca.

Ma doveva fermarlo.

«Bevilo.»

Ma la voce era forte, e la sua mano non si fermava.

Bevilo…

Non era più una voce, era un richiamo dall’oltretomba. E doveva fermarlo…


Fai una prova di

Il risultato della tua prova è

La grande fuga


Ananche fissò i resti del suo grimaldello accroccato, la forchetta piegata, il chiodo spezzato, e un senso di vuota disperazione si fece largo nel suo petto.

Che possibilità gli restava?

«Aiuto» gridò piano, quasi a se stesso.

Ma non venne risposta, naturalmente. Alzò allora gli occhi al pertugio di cielo che si vedeva nell’unica apertura della stanza, lassù, sotto il soffitto.

«Sono qui sotto, aiuto!» tentò allora con più decisione. «Aiuto!»

Nulla. Solo silenzio.

«Aiuto, aiutooo!» arrivò a gridare, fissando disperato il mondo là fuori, l’unica vera speranza che gli restava.

E una risposta venne, ma non da dove anelava.

Lo scatto della serratura alle sue spalle fu un brusco richiamo alla realtà: quando si voltò i due carcerieri sorridevano beffardi. «Ti serviva una mano?» ridacchiò uno, quello più tozzo.

«Dai, davvero pensavi che la fuori c’era qualcuno pronto ad aiutarti?»

Ananche ebbe un moto di stizza verso gli odiosi aguzzini, e lo trasformò in un disperato gesto di rabbia: con un balzo fu su quello più vicino e senza badare alla sua stazza lo sorprese con un calcio al ginocchio che lo piegò in due.

Ora però il secondo uomo gli sbarrava la strada.


Fai una prova di

Il risultato della tua prova è

La grande fuga


Non c’era altro da fare: aprì la prima porta e si lanciò in una corsa disperata.

Salì altre scale, imboccò altri corridoi, infilò altre porte, seguendo di volta in volta il percorso che gli sembrava più luminoso, baciato da raggi solari provenienti da un qualche dove.

Nel petto il cuore martellava come un maniscalco pazzo, allo stesso ritmo con cui gli pulsavano le domande, dentro un cervello che mai aveva sentito tanto piccolo. Delle risposte non riusciva a formulare neppure la prima sillaba, riusciva solo a correre.

Poi finalmente una stanza con una finestra su un cortile soleggiato. Il tempo di rendersene conto e l’aveva già aperta e con un balzo era fuori.

Rotolò malamente sul selciato, l’altezza esterna era decisamente superiore a quella interna, ma non si fermò: quasi a carponi si gettò verso l’erba ancora intrisa di pioggia del prato, verso una libertà che sentiva passare dall’aria dentro di lui, come nuova energia.

Non ricordava d’essere mai stato così felice.

Ma durò un attimo, giusto il tempo di rendersi conto dell’alto muro che circondava quel cortile interno al palazzo. E delle decine di persone lì immobili, in piedi, la testa rivolta malamente al cielo, i piedi affondati nel fango.

Il primo istinto fu fuggire, poi un breve pensiero riuscì a prendere forma nella sua mente: forse erano prigionieri anche loro, forse insieme potevano trovare una via per la libertà.

Si accostò a quegli insoliti personaggi, di cui non vedeva i volti perché tutti gli davano le spalle, ma nei quali intuiva la scomoda postura, l’innegabile sciatteria, la stravaganza di quello sguardo immobile rivolto al timido sole.

Se si fosse concesso il tempo di un pensiero in più, avrebbe probabilmente anche notato le mosche che numerose li tormentavano, gli abiti zuppi d’acqua, il colorito e l’odore malsano dei loro corpi.

Ma neanche con tutto il tempo del mondo avrebbe immaginato ciò che stava per vedere.

Quando la sua mano toccò il braccio dell’uomo più vicino, tutte quelle teste si abbassarono all’unisono e lentamente si voltarono a fissarlo: una schiera di volti marci, bocche putrescenti, orbite macilente.

Erano morti. Erano tutti morti ma erano lì come fossero vivi.

Ananche sentì un terrore tangibile avvolgerlo come un mantello e bloccargli ogni facoltà. E quando riuscì a scansarlo i morti già lo circondavano.


Fai una prova di

Il risultato della tua prova è

La grande fuga


Ma a rammaricarsi del proprio coraggio fu però il carceriere che, raggiunto prima allo sterno da una testata e poi all'inguine da una ginocchiata, finì raggomitolato in un angolo del corridoio. Poi un altro calcio si stampò in faccia al primo uomo, che andò a fare compagnia al suo compare.

Ananche rimase esterrefatto a contemplare il risultato di tanta violenza, ma non meditò oltre al dovuto su dove avesse trovato la forza per un tale gesto; ora doveva solo fuggire.

Il corridoio in cui si trovava non gli dava molta scelta: a destra terminava contro un muro, a sinistra proseguiva per una decina di metri e poi sfumava nell'ombra. Vedeva anche altre sette porte, ma erano sicuramente celle come la sua e scoprirne il contenuto non era affare che la sua coscienza si sentisse obbligata ad affrontare. Si lanciò verso l'oscurità salvo bloccarsi immediatamente: una stretta scala scavata nella pietra chiudeva l'altro capo del corridoio offrendogli la possibilità sia di salire, sia di scendere.

Doveva fare una scelta, e scegliere sotto pressione non gli aveva mai portato fortuna.



Dove si va?

● Su

● Giù

La grande fuga


Senza pensarci troppo iniziò la discesa. E le tenebre presto lo avvolsero.

Avanzò finché non gli restò altro che il tatto a guidarlo, e neppure in quel momento si fermò.

Non avrebbe saputo dire perché avesse preso quella direzione, e perché continuasse a seguirla, pareva più che ovvio che non potesse condurre verso l’uscita, ma sentiva ineluttabile il peso del destino, come se una forza misteriosa e oscura avesse scelto per lui.

I gradini sparirono e un ampio salone si doveva essere aperto di fronte a lui, poiché non riusciva a trovare pareti.

Si fermò cercando un nuovo alleato nell’olfatto. Miasmi osceni serpeggiavano sul fondo di quella stanza, il puzzo inconfondibile di una cloaca.

S’inginocchiò sopraffatto dal fetore, cercando di vincere un capogiro. Lentamente la vista si stava abituando all’oscurità e grazie a inconsistenti bagliori di origine ignota riuscì a distinguere i contorni delle scale da cui era venuto, e di un basso tunnel che si addentrava nelle viscere della terra assecondando il percorso di un canale melmoso.

Poteva essere la sua unica speranza di fuga. O un modo rapido per morire.



Se vuoi tornare indietro, questo è il momento

● Sì, ritorniamo su

● No, imbocchiamo il tunnel

La grande fuga


Per un attimo aveva pensato di non farcela. Aveva ancora davanti agli occhi le orrende mani che si stringevano su di lui. Invece ne era uscito, e quei mostri se ne stavano ancora là, azzuffati attorno al niente.

Non perdette altro tempo e si lanciò verso la finestra da cui era entrato. Ma una alta figura incappucciata gli sbarrava la strada.

Chiuso tra due fuochi corse in cerca di una terza via.

«Fermati Ananche, non hai ragione di fuggire.»

Si fermò, non poté fare altro, il tono della voce era più che perentorio, era ineluttabile.

«Vieni, ti accompagnerò per l’ultimo tratto.»

Ananche si voltò riluttante: «Mi accompagni dove?»

«Davvero non hai ancora capito?»

«No, in quella cella non ci torno!»

«Sei fuori strada…» rispose la figura accarezzando la lama di una lunga falce.

Studiò con attenzione il suo avversario. Era alto, e di una magrezza che s’intuiva anche sotto quella spessa tunica nera. Il cappuccio ricadeva sul viso a oscurarlo completamente, ma due lievi bagliori d’un colore indefinibile rivelavano la presenza degli occhi. La falce, che stringeva in una mano perlacea, era di fattura grezza ma lucida dall’uso costante.

«Allora, vieni?»

«Pensavo di averla scampata» ribatté Ananche.

«Molti non se ne accorgono» rispose serafica Morte.

«Immagino di essere ancora…» e indicò il mucchio selvaggio di morti viventi.

«Quel che resta del tuo involucro terreno, sì.»

«Beh, certo, ovvio. Quindi che si fa?»

«Mi segui verso quella luce.»

«E finisce così, vero? Non c’è una seconda possibilità?»

«Non dipende da me, sono cose fuori dalle mie competenze.»

Ananche ebbe il dubbio che stesse mentendo e cercò d'interpretare l'espressione di quel volto nell’ombra.

«Cos’è, non ti fidi?» aggiunse Morte con la sua migliore interpretazione di un sorriso rassicurante. «Forza, seguimi.»

«E loro?» chiese indicando gli zombi, in un ultimo tentativo di prolungare la sua permanenza terrena.

«Tranquillo, sono già andatati avanti» lo rassicurò Morte, prima di spingerlo nella luce.

FINE



Ti è piaciuto?
Allora offrimi un caffè

La grande fuga


Il liquame scendeva dal buco in una lunga e scura cascata, finendo la sua corsa in un torrente viscido e profondo, che stretto in una gola serpeggiava fino a una rada boscaglia.

Era sulla riva tra quei cespugli, che stava aspettando, falce stretta nel pugno e cappuccio calato sul capo nella più classica delle pose.

Lo spirito arrivò fluttuando sui flutti pochi istanti dopo.

«Vieni, ti aiuto» disse allungando il manico della falce verso il malcapitato.

Quello si aggrappò disperato in cerca di salvezza, ma perse ogni speranza quando vide il suo salvatore.

«Sono caduto, vero?»

«Sì» rispose laconico il Tristo Roditore, per poi allungare nuovamente la falce nell’acqua e raccogliere un altro sventurato. «Ma cosa vi è saltato in mente?»

«Stavamo seguendo lui.»

Lo spirito del ratto indicò un uomo che stava emergendo dall’altra sponda. Era ricoperto di liquami e aveva l’aria deperita di chi mangia una volta a settimana, ma era pervaso da una gioia incontenibile: quando mise piede a terra baciò il suolo e si mise a ballare tra gli alberi.

«E cosa volevate farne, mangiarlo?» chiese il Tristo Roditore, raccogliendo dalle acque un altro spirito.

«Perché no…»

«Quando imparerete a lascia stare gli umani» borbotto il Tristo Roditore. «Forza, andiamo.»

Mentre si avviava verso la luce vide una sua collega seduta a fumare sotto un raggio di sole.

«Ah, quindi neppure lui ce l’ha fatta?» le chiese, per il solo gusto di far conversazione.

Morte tirò una profonda boccata prima di rispondere: «No, no, sta benone. Avevo solo voglia di una pausa.»

«Ti capisco» disse il collega prima di sparire nella luce seguito dai malcapitati ratti.

Morte rimase ancora un istante a godersi quel singolare momento di pace, mentre il bizzarro essere umano correva a perdifiato nei campi ancora umidi di pioggia.

FINE



Ti è piaciuto?
Allora offrimi un caffè

La grande fuga


Un giorno, non ricordava quando, aveva sentito dire da qualcuno, non ricordava chi, che ogni fiume finisce in mare. Quello non era un fiume ma era comunque un flusso di liquidi che scorreva in una direzione, e c’era pur sempre una probabilità che alla fine del suo fluire avrebbe raggiunto un altro bacino d’acqua. Magari non sarebbe stato il mare, ma sicuramente sarebbe stato all’esterno di quell’orrida prigione.

Cercando di non mettere i piedi in acqua, e di respirare il meno possibile, imboccò il tunnel.

Orientarsi era difficile nel buio quasi totale, ma per fortuna persisteva un vacuo bagliore a rifrangersi sui flutti e fargli da guida. Quella luce doveva pur avere un’origine e questo pensiero lo rinfrancava: da qualche parte doveva esserci un’uscita.

Il percorso lo facilitava, non presentava incroci o deviazioni, era solo un lungo tunnel da seguire. Ma il fetore si faceva sempre più soffocante, e lo sciabordare dell’acqua aveva il ritmo ipnotico di un singulto. Avanzare era faticoso come lottare con un titano.

Al sibilante rumore dell’acqua si aggiunse poi un confuso ticchettare che andò moltiplicandosi con i suoi passi.

Pareva quasi che lo seguisse.

Si fermò lanciando uno sguardo nell’oscurità. E l’oscurità lo ricambiò, sottoforma di cento piccoli riflessi malefici.

Ananche aveva già visto quegli occhietti, erano famigliari a chi viveva di stenti nei bassifondi di qualunque città: ratti.

Centinaia di ratti.

Corse.

Senza curarsi di non mettere i piedi in acqua, spingendosi sulle pareti per acquistare velocità, aggrappandosi con le unghie pur di non scivolare.

Corse accelerando sempre più, seguendo il ritmo dei flussi che si facevano vorticosi.

Mentre i ratti sciamavano al suo inseguimento.

Poi la luce arrivò come uno schiaffo.

Ebbe appena il tempo di capire che il tunnel terminava nel vuoto per ricominciare alcuni metri più avanti, nel cuore di una parete rocciosa.

Seguì il suo istinto: accelerò la corsa e spiccò un salto.


Fai una prova di

Il risultato della tua prova è

La grande fuga


Bisogna riconosce che si batté con coraggio, e che furono molti i colpi andati a segno. Ma ancor di più furono quelli subiti. E chissà, se gli avversari non fossero stati in superiorità numerica forse una possibilità l’avrebbe avuta. Ma quando il secondo uomo si riprese dal dolore, bastarono un paio di pugni alla schiena ben assestati e l’oscurità tornò a sovrastare la sua mente.

Mantenne la lucidità sufficiente solo per ascoltare le ultime parole dei suoi carcerieri.

«Direi che tocca a lui.»

«Concordo.»

E prima di perdere completamente i sensi, si sentì afferrare per i piedi e trascinare fuori dalla cella.


La grande fuga


Smise di correre solo quando fu certo di non averne più alle calcagna. Non che avesse dovuto sforzarsi chissà quanto, quegli esseri non brillavano per velocità, ma il terrore gli aveva paralizzato le gambe e gli sembrava impossibile essere riuscito a muoversi.

Ora non sapeva in quale punto del palazzo fosse finito, aveva aperto porte e infilato scale a caso. Sapeva solo che era sceso in un qualche sotterraneo.

Concedendosi il tempo di rifiatare si rese conto di quanto fosse maleodorante: una specie di torrente melmoso attraversava il buio stanzone infilandosi in un tunnel.

Tornare indietro da quelle creature era un’opzione che non voleva neppure prendere in considerazione, quindi imboccò il cunicolo, cercando di non mettere i piedi in acqua, e di respirare il meno possibile. Del resto, da quel che ne sapeva, ogni corso d’acqua portava al mare!

Orientarsi era difficile nel buio quasi totale, ma per fortuna un vacuo bagliore si rifrangeva sui flutti facendogli da guida. Quella luce doveva pur avere un’origine e questo pensiero lo rinfrancava: da qualche parte doveva esserci un’uscita.

Il percorso lo facilitava, non presentava incroci o deviazioni, era solo un lungo tunnel da seguire. Ma il fetore si faceva sempre più soffocante, e lo sciabordare dell’acqua aveva il ritmo ipnotico di un singulto. Avanzare era faticoso come lottare con un titano.

Al sibilante rumore dell’acqua si aggiunse poi un confuso ticchettare che andò moltiplicandosi con i suoi passi.

Pareva quasi che lo seguisse.

Si fermò lanciando uno sguardo nell’oscurità. E l’oscurità lo ricambiò, sottoforma di cento piccoli riflessi malefici.

Ananche aveva già visto quegli occhietti, erano famigliari a chi viveva di stenti nei bassifondi di qualunque città: ratti.

Centinaia di ratti.

Corse.

Senza curarsi di non mettere i piedi in acqua, spingendosi sulle pareti per acquistare velocità, aggrappandosi con le unghie pur di non scivolare.

Corse accelerando sempre più, seguendo il ritmo dei flussi che si facevano vorticosi.

Mentre i ratti sciamavano al suo inseguimento.

Poi la luce arrivò come uno schiaffo.

Ebbe appena il tempo di capire che il tunnel terminava nel vuoto per ricominciare alcuni metri più avanti, nel cuore di una parete rocciosa.

Seguì il suo istinto: accelerò la corsa e spiccò un salto.


Fai una prova di

Il risultato della tua prova è

CHIUDI

Potrebbero piacerti

Un vecchio veterano di un misterioso ordine di cavalieri sta per raccontare le sue gesta nella locanda peggio frequentata della regione. Ma a decidere il finale sarai tu guidandolo in questo mini RPG. Unisci subito all'avventura!

Giocalo…

Un topo, due prostitute, un prete e un mercenario. A prima vista non si direbbe una compagnia di avventurieri.
Ma allora cosa c'entrano con il potente mazzo di carte che racchiude tutti i più grandi incantesimi dello stregone che ha inventato la magia?

Leggilo…

Hai molti modi per navigare tra le storie di Eudopia: il primo è naturalmente tornare alle mappe del mondo nella Home scegliere quella che più ti ispira.
logo eudopia
Ma puoi anche navigare mentre leggi, ti basta cliccare sulle parole sottolineate di giallo per aprire nuove storie, collegate alla linea narrativa che stai seguendo. Eudopia, infatti, è un vasto mondo sempre in espansione, con personaggi e luoghi ricorrenti. Oppure puoi guardare qui su e accettare i miei consigli, cliccando sui titoli delle storie che di volta in volta ti suggerirò. Ricorda che i racconti più lunghi possone essere divisi in capitoli. Nella parte bassa dello schermo troverai sempre un menù per navigarli simile a questo:pagination Se sei un nottambulo e preferisci una lettura riposa-vista, clicca su questo simbolo nella barra-menù in alto per oscurare lo schermo. E se la storia ti è piaciuta non dimenticare di lasciare un tuo commento qui sotto Bene, ora sai tutto quello che ti serve per viaggiare in Eudopia.
Buon divertimento!

ux il bardo